Il progetto TIME-CARE punta su algoritmi e sensori per salvare vite prima e durante l’emergenza, con l’aiuto dei cittadini
Al Cardiac Arrest Center dell’IRCCS San Raffaele di Milano, l’intelligenza artificiale non è più un tema futuristico. È uno strumento concreto che potrebbe cambiare il destino di chi viene colpito da un arresto cardiaco, dove ogni minuto pesa sulla sopravvivenza e sulle condizioni neurologiche del paziente.
Grazie al progetto TIME-CARE, finanziato con fondi ministeriali e NextGenerationEU, medici e ingegneri raccolgono e analizzano un flusso enorme di dati: parametri vitali, risultati di laboratorio, immagini e monitoraggi. Un patrimonio informativo che, secondo i ricercatori, può migliorare prevenzione e cure, dando a medici e soccorritori un supporto immediato. Il partner tecnologico è il Politecnico di Milano, un binomio che unisce scienza clinica e innovazione digitale.
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Prevedere l’arresto cardiaco e intervenire prima che accada
L’obiettivo dichiarato è ambizioso: anticipare eventi drammatici come infarto e arresto cardiaco improvviso. Un traguardo che passa da tecnologie comuni come smartwatch e sensori indossabili, oggi capaci di registrare frequenza cardiaca, saturazione ed elettrocardiogramma con una precisione impensabile fino a pochi anni fa. Già oggi rilevano con affidabilità casi di fibrillazione atriale, motivo per cui sono entrati nelle linee guida cardiologiche internazionali. La domanda successiva nasce spontanea: perché non usarli per individuare segnali di rischio ancora più gravi, prima che la situazione precipiti.
Con TIME-CARE, guidato dal professor Alberto Zangrillo come Principal Investigator, vengono studiati i dati di chi ha già affrontato un evento cardiaco acuto. La sfida è capire se, nelle ore o nei giorni precedenti, siano comparsi parametri alterati, piccole spie che il corpo invia senza che ce ne accorgiamo. Il team coordinato dalla professoressa Elena De Momi del Politecnico sta addestrando algoritmi che potrebbero un giorno inviare avvisi tempestivi, concedendo tempo per agire o recarsi in ospedale.

Già i primi risultati raccontano un potenziale enorme. I sensori individuano modifiche fisiologiche molto primadell’emergenza, anche se serviranno anni per verificarne l’efficacia clinica su larga scala. In Italia si registrano ogni anno oltre 60 mila arresti cardiaci extraospedalieri, un numero che spiega quanto la prevenzione sia un investimento urgente. Qui i ricercatori vedono l’arma nuova: ridurre i minuti che dividono un cuore che si ferma da quello che batte ancora.
La ricerca deve però fare i conti con le infrastrutture. Mancano sistemi nazionali capaci di raccogliere e condividere dati in modo sicuro e omogeneo. “Con accesso ai big data potremmo rispondere a domande cruciali in pochi giorni, non in anni”, osserva chi lavora al progetto. La parola più ripetuta in laboratorio non è futuro, ma concretezza.
Rianimazione “su misura” e soccorritori guidati dalla tecnologia
Durante un arresto cardiaco, il cuore smette di pompare sangue e ossigeno verso il cervello. Ogni minuto perso riduce le possibilità di sopravvivenza del 10%. La rianimazione moderna si basa su linee guida nate negli anni Sessanta: compressioni toraciche tutte uguali, 5-6 cm di profondità, 100-120 pressioni al minuto, senza tenere conto dell’anatomia di chi si ha di fronte. Eppure, lo sanno bene medici e infermieri, le persone non sono tutte uguali. In alcuni casi si comprime dove non serve o si posizionano le placche del defibrillatore in modo non ottimale.
TIME-CARE studia TAC ed ecocardiografie per creare un’intelligenza artificiale in grado di indicare al soccorritore dove spingere esattamente e dove applicare le placche per rendere più efficace il massaggio cardiaco. Non si parla di robot che sostituiscono le mani umane, ma di strumenti rapidi che guidano, suggeriscono, non comandano. A Milano ogni giorno avvengono circa 8 arresti cardiaci, e in metà dei casi nessuno inizia la rianimazione prima dell’arrivo dei soccorsi. È in questo buco temporale che la tecnologia vuole inserirsi.
La prevenzione passa anche dalla geolocalizzazione. Esistono molte app che segnalano la posizione dei DAE(defibrillatori automatici esterni), ma poche garantiscono aggiornamenti affidabili. Il San Raffaele lavora a un’app capace di utilizzare criteri dinamici: distanza, formazione del soccorritore, presenza di un dispositivo nelle vicinanze. Così la chiamata di aiuto arriva alla persona giusta, nel momento giusto.
Un altro tassello è mAPPaCuore, iniziativa di citizen science che porta i defibrillatori veraente dentro le scuole, trasformando studenti in “mappatori” del territorio. Armati di smartphone, fotografano, registrano, segnalano dispositivi non accessibili o mal funzionanti. Un gioco serio, che costruisce una generazione più pronta a riconoscere il pericolo e ad agire. I giovani imparano, raccontano a casa, diventano un moltiplicatore di conoscenza e sicurezza.
Il nodo della privacy resta, ma nei progetti accademici i dati vengono anonimizzati e gestiti su piattaforme sicure. Il dubbio più grande riguarda i costi: chi deve pagare questa rivoluzione? La risposta del team è chiara: lavorare con dispositivi già in uso dai cittadini per non trasformare la prevenzione in un privilegio per pochi. L’idea è che il Servizio Sanitario Nazionale possa un giorno riconoscere smartwatch e sensori come veri strumenti salvavita.
Il fattore umano non scompare, anzi: medici e algoritmi si completano. L’intuito salva vite, ma l’AI può vedere segnali invisibili all’occhio e aiutare a scegliere più in fretta. Non si delegano decisioni, si rafforza la possibilità di prenderle nel secondo giusto.
