13 anni per realizzarlo: cosa nasconde il film su Norimberga che tutti attendono (e un irriconoscibile Russell Crowe)

Norimberga 2025

Il film più atteso dell'anno-battisteropadova.it

Lorenzo Fogli

Ottobre 31, 2025

Il dramma storico di James Vanderbilt porta sullo schermo il processo che cambiò la giustizia internazionale: Crowe è Göring, Malek lo psichiatra Kelley

Roma, 31 ottobre 2025. In un panorama cinematografico che alterna sequel, saghe e effetti digitali, l’arrivo di Norimberga sembra una scossa improvvisa. Non un film “su” la Storia, ma un film che la riapre, la mette sul tavolo, e la guarda negli occhi senza filtri. È il progetto che il regista e sceneggiatore James Vanderbilt ha inseguito per tredici anni, convinto che quel processo, quello vero, non fosse solo un capitolo di libri e documentari, ma un momento in cui l’umanità ha dovuto decidere chi voleva essere dopo l’orrore.

Nelle sale italiane dal 18 dicembre (distribuzione Eagle Pictures), “Norimberga” mette al centro il confronto umano e psicologico tra due figure che non potrebbero essere più distanti: Hermann Göring, il gerarca nazista che fino all’ultimo cercò di mostrarsi lucido, potente, stratega della propria immagine, e Douglas Kelley, giovane psichiatra dell’esercito statunitense incaricato di valutarne la salute mentale prima e durante il processo. Russell Crowe, fisicamente trasformato, quasi irriconoscibile, veste i panni di Göring. Rami Malek interpreta Kelley, e porta sullo schermo un uomo che deve attraversare l’oscurità senza lasciarsi contaminare.

Il peso della storia e la domanda che non smette di bruciare

“Norimberga” non racconta solo un tribunale. Racconta cosa resta dell’umanità quando si spengono le marce militari e restano le voci, le celle, le carte, e quei volti che tentano ancora di manipolare la Storia. Il processo vero, iniziato nel novembre 1945, radunò le figure più alte del regime nazista: Goering, Hess, Ribbentrop, Keitel, e altri uomini del cerchio interno hitleriano. Davanti alla corte internazionale guidata dal giudice Robert H. Jackson (interpretato da Michael Shannon), il mondo ascoltò per la prima volta in un’aula di giustizia la parola “crimini contro l’umanità”.

Russell Crowe
Russell Crowe in una scena del film-battisteropadova.it

Il film segue ciò che accade prima delle udienze, nelle stanze silenziose dove gli imputati parlano, negano, rivendicano, manipolano. Göring, nella ricostruzione di Crowe, non è una caricatura del male, ma un uomo capace di fascino, ironia, intuito strategico. Una scelta che non assolve, ma espone: l’orrore non fu opera di mostri alieni, ma di esseri umani. È lì che Malek si muove, nel ruolo di un medico che non può permettersi di odiare, ma non può neppure dimenticare. Si trova davanti alla domanda inconciliabile che ha attraversato generazioni: obbedivano agli ordini, erano malati oppure erano semplicemente malvagi?

Il libro di riferimento è “The Nazi and the Psychiatrist” di Jack El-Hai, uscito nel 2013, che Vanderbilt ha studiato fino quasi all’ossessione. Ha cercato fondi, atteso le condizioni giuste, scelto il cast pezzo per pezzo. Il risultato è un film che non si mette comodo nella fedeltà storica, ma la usa come struttura. Ed è nelle pause, nei silenzi, nei dialoghi privati, che cerca la verità.

L’atmosfera, i volti, la scelta di non semplificare

Il cast è uno di quelli che fanno intuire la portata dell’opera: oltre a Crowe, Malek e Shannon, ci sono Colin Hanks, Leo Woodall, John Slattery e Richard E. Grant. Non ci sono protagonismi compiaciuti, né virtuosismi inutili. Vanderbilt, lo stesso autore di sceneggiature come Zodiac, conosce il valore della tensione costruita senza urlare, del dettaglio che pesa più di una scena grandiosa. Ha dichiarato di aver voluto un film dal respiro dei grandi thriller politici, citando “JFK”, “Apollo 13”, “Glory”. Pellicole che parlano a tutti, ma non rinunciano alla complessità.

Crowe porta in scena un Göring che non è solo carisma cinico, ma anche fiato corto, ombra, disperato tentativo di controllare la propria immagine mentre il suo mondo crolla. Malek, che spesso sceglie ruoli di uomini in bilico, costruisce Kelley come una figura tesa tra il dovere e la vertigine psicologica. E, già, c’è un filo che vibra costantemente: osservare il male da vicino può logorare chiunque, anche chi sta dalla parte giusta.

L’aspetto più forte del film, a quanto emerge dalle prime analisi critiche, è la scelta di mostrare quanto il processo di Norimberga non sia stato solo punizione, ma fondazione del diritto internazionale, del concetto moderno di responsabilità penale dei leader politici e militari. Niente retorica facile. La giustizia, sembra dire Vanderbilt, nasce fragile, sotto pressione, e a volte inciampa. Ma cresce quando decide di guardare in faccia anche ciò che fa paura.

Non è un film “difficile” nel senso accademico. È un film che richiede presenza. Si esce con più domande di quante se ne avevano entrando. E questo, nel cinema storico, è un merito raro.