Con oltre trenta licenze assegnate dopo l’estate, il Ministero dell’Ambiente rilancia l’esplorazione di idrocarburi tra terra e mare. Shell e Energean pronte a investire, mentre il governo punta su gas nazionale a prezzo calmierato per gli energivori
L’autunno 2025 segna un ritorno clamoroso dell’Italia nell’arena delle esplorazioni petrolifere e di gas, con oltre trenta licenze rilasciate dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica dopo la cancellazione del Pitesai da parte del TAR del Lazio. Dopo anni di stop imposti prima dalla moratoria del 2019, poi dal Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee (approvato nel 2022 in piena emergenza gas), il settore si rimette in moto.
L’obiettivo? Rimettere in produzione una ricchezza del sottosuolo da tempo congelata: idrocarburi presenti tanto nei giacimenti onshore di Basilicata, Emilia-Romagna, Puglia, Campania e Lombardia quanto offshore, nel Canale di Sicilia, nel Mar Ionio e nell’Adriatico. Un ritorno alle trivelle motivato da ragioni energetiche e geopolitiche, in un contesto europeo che vede Croazia e Grecia già in fermento.
Il ministero ha accolto decine di richieste da parte di big come Eni, già attiva in Val d’Agri e in Sicilia, ma anche di colossi internazionali come Shell ed Energean, entrambi pronti ad aumentare la produzione e gli investimenti, a patto di trovare in Italia un contesto regolatorio più stabile e rapido.
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Shell ed Energean: “L’Italia ha il potenziale fossile più alto d’Europa”
È il ceo di Shell Italia E&P, Joao Santos Rosa, a lanciare un messaggio chiaro: “L’Italia ha risorse naturali importanti, un sistema energetico avanzato e competenze industriali eccellenti. Investiamo già 500 milioni l’anno, ma siamo pronti a fare di più se ci sarà chiarezza normativa e visione strategica”.
Shell è presente in Italia dal 2002 ed è co-proprietaria del giacimento di Val d’Agri (39%, con Eni al 61%) e di Tempa Rossa (25%, con Total al 50% e Mitsui al 25%). Nella sola Basilicata, Shell stima di poter aprire altri dieci pozzi grazie alle nuove autorizzazioni.

Anche Energean, società greca quotata a Londra e già operatrice dei pozzi Vega e Rospo Mare, rilancia con ambizioni forti: “Con nuove licenze potremmo trivellare fino a tre nuovi pozzi per Vega, di fronte a Pozzallo, e altri due per Rospo, già individuati ma mai scavati. Infrastrutture pronte, produzione triplicabile”, spiega il ceo Mathios Rigas.
Energean guarda anche al Mar Ionio, dove ha chiesto nuove licenze al confine con la Grecia, paese che già le ha concesso permessi esplorativi promettenti. L’Italia invece resta frenata da iter autorizzativi lenti e ostacolati spesso dalla politica locale, mentre le opportunità — secondo le aziende — sono enormi.
Gas nazionali e “scambio virtuoso”: cosa vuole il governo
Il rilancio dell’oil&gas italiano non è solo una partita industriale. Dietro, c’è un interesse preciso del governo Meloni, che punta ad aumentare la produzione interna di gas metano per destinarne una parte a prezzo agevolato alle aziende energivore, con un sistema chiamato gas release.
L’Italia produce oggi circa 3 miliardi di metri cubi di gas all’anno, ma potrebbe contare su mezzo miliardo da destinare al mercato a prezzo calmierato, se riuscisse a sbloccare le licenze e riattivare i pozzi esistenti. Lo schema a cui lavora il Mase è chiaro: accelerare le autorizzazioni in cambio di una quota di gas venduta sotto costo. Un patto tra pubblico e privato che punta a dare respiro a imprese e industrie, senza dover ricorrere esclusivamente a importazioni dall’estero.
Nel frattempo, Eni ha annunciato utili per 3,8 miliardi in nove mesi e un piano di investimenti da 27 miliardi in 4 anni, segnale che il comparto energetico italiano non intende rallentare, nemmeno nel mezzo della transizione.
Conclusione: energia, sovranità e scelte difficili per l’Italia che vuole contare
C’è un bivio davanti al paese. Da un lato la spinta alla decarbonizzazione, la pressione europea per accelerare verso il green, le proteste ambientali, le resistenze locali. Dall’altro, l’urgenza di garantire energia sicura, nazionale e a basso costo in un mondo che non è ancora pronto a vivere solo di rinnovabili.
Il ritorno dell’Italia alle esplorazioni petrolifere e di gas non è una retromarcia sulla transizione, ma una scelta pragmatica in tempi complessi. Mentre altri paesi perforano con decisione, l’Italia ha bloccato tutto per anni. Ora la finestra è riaperta, con il TAR che ha sospeso il Pitesai, e con la necessità di dare una risposta concreta alla crisi energetica e agli interessi delle aziende che ancora investono sul nostro territorio.
Shell, Eni ed Energean non stanno chiedendo incentivi, ma regole chiare. Il governo vuole più gas da distribuire alle imprese italiane, a prezzi che rendano competitiva la nostra industria. Lo scambio è delicato, ma possibile. E se gestito con lungimiranza, potrebbe diventare una leva strategica per rilanciare sovranità energetica e occupazione. Il futuro green non si costruisce bloccando i pozzi, ma guidando la transizione con equilibrio.
